Chiudere il cerchio per aprire un nuovo ciclo

Al termine del Seminar Nazionale della FIJLKAM, tenutosi dal 29 al 31 ottobre scorsi a Leinì (TO), Sara ed io abbiamo avuto la possibilità di sostenere l’esame da secondo Dan.

Si è completato così un processo avviato il 3 agosto scorso a Montreux (Svizzera), quando di fronte a Patrick Cassidy Sensei abbiamo sostenuto il nidan Aikikai. Nel percorso che ci viene proposto al Dojo, ci è data la possibilità di certificare la nostra crescita sia con attestati che valgono nella comunità dei praticanti a livello internazionale, sia con una traiettoria di riconoscimenti che hanno valenza nel territorio italiano.

Questo doppio livello -che per noi è triplo, perché si aggiunge l’iter delle qualifiche per insegnanti tecnici- comporta certamente maggiore impegno sotto tutti i punti di vista. Ma permette di vivere esperienze di crescita uniche.

Ci sarebbero tante riflessioni da fare, proviamo a condividerne qualcuna.

Il reale prevale sul virtuale

Per noi, il Seminar Nazionale è stata la seconda esperienza di stage intensivo dopo la pandemia. Prima sembrava quasi normale girare per l’Italia e l’Europa una, due volte al mese. E’ stato bellissimo poter tornare a questo tipo di attività.

Abbiamo sentito attraverso il nostro corpo, il nostro essere, quanto sia importante poter confrontarsi con un “noi” più ampio. I lunghi mesi di attività private del contatto e quindi in solitario; il lavoro necessariamente “limitato” alla pratica con i soliti volti noti…Tutto ciò ha permesso di non spegnere la fiamma, anzi. Ma ha anche allentato quella capacità di adattarsi velocemente a persone che non si conoscono, che praticano stili diversi. Abbiamo avuto un indicatore importante di quanto sia stato davvero impattante per la pratica questo momento storico.

Allo stesso modo, siamo estremamente grati a coloro che, in Federazione, hanno avuto il coraggio e la caparbietà di aspettare che ci fossero le condizioni per offrire un momento reale e non virtuale in cui vivere l’esperienza degli esami.

Un anno fa una gigantesca macchina organizzativa riuscì a tenere unita la comunità dell’Aikido federale grazie a eventi online. Sembrava, in quel tempo, che anche per l’Aikido dovesse avvenire ciò che nel Judo e nel Karate fu applicato per evitare che la pandemia bloccasse il fluire del conferimento di gradi e qualifiche.

Mordere il freno fa apprezzare di più il gusto del reale. Poter esprimersi su un tatami, con persone in carne ed ossa, ed essere valutati per quello che mostri nella tridimensionalità di un palazzetto e non nella bidimensionalità di una videoconferenza è un privilegio che vale qualsiasi attesa. Anche se è evidente che, rispetto al mondo pre-Covid, abbiamo tutti due anni in più e siamo in condizioni atletiche non ancora ottimali…

…Ma esistono le condizioni ottimali?

Io e Sara riflettevamo sulle condizioni nelle quali, nel nostro percorso di Aikido, ci siamo presentati agli esami. Come da tradizione, anche stavolta, siamo saliti sul tatami con diverse “spie” accese sul nostro cruscotto.

E’ legittimo desiderare di vivere determinati momenti, quelli che si considerano importanti, al meglio. E’ legittimo “godersi la vita”. Tuttavia l’esperienza insegna che spesso non è così.

Anzi, è la Natura che quotidianamente ci offre un quadro talmente perfetto da sembrarci normale. Un bruco che diventa farfalla, l’acqua che si solidifica in ghiaccio, il ghiaccio che strepita quando si scioglie, il pianto di un bambino che nasce…

Non c’è passaggio di stato che non richieda di abbandonare le forme di prima per un dopo totalmente diverso.

Non c’è passaggio di stato che non richieda uno scambio drastico di energia.

E infatti, se ciascuno di noi ripercorre i momenti salienti della propria esistenza, può benissimo certificare che dietro e dentro quei momenti avviene una trasformazione totale che spesso ha le sembianze di una fatica indicibile.

Quindi, le cosiddette condizioni ottimali non esistono. O meglio: le condizioni ottimali sono proprio quelle che noi etichettiamo come scomodità, perché permettono l’evoluzione in qualcosa di più ampio.

Chissà, quando duemila anni fa San Paolo scriveva ai Romani: “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi”, probabilmente contemplava la comune situazione di ogni uomo e donna di sempre.

Che sia un colloquio di lavoro, un’interrogazione a scuola, un esame Dan… Dietro e dentro quella fatica c’è il portale per espandere i confini della propria area di crescita, che diventeranno i nuovi limiti con cui confrontarsi nel percorso di ciascuno, che diventa alla fine il percorso di tutti.

Com-petere: andare tutti verso il medesimo punto.

Dopo gli esami abbiamo partecipato al primo “Aikijo Experimental Taikai”.

Era tanto tempo che non partecipavamo a competizioni in contesti ufficiali. Averlo fatto, per di più in coppia, ed essere stati valutati col punteggio più alto nella nostra categoria ha risvegliato emozioni sopite da tempo.

E’ stato bello, perché ci piace partecipare ad iniziative che hanno il coraggio di sondare nuove prospettive. Si è riflettuto opportunamente sulla frase di O’Sensei ne “L’Arte della Pace”: “L’Arte della Pace (l’Aikido) consiste nel realizzare ciò che manca“. Certamente all’Aikido manca una metodologia che consenta, in modo totalmente libero, oggettivo e svincolato dalla pratica ordinaria nel Dojo di appartenenza, di fare i conti e fare…pace con la competizione.

E’ stato difficile, perché l’esito di una competizione è un’etichetta che, soprattutto per chi “vince” è molto difficile staccare subito, come si dovrebbe. In quel preciso momento, in quel contesto, con quelle persone, sarai anche il migliore ma, esattamente come un esame, un secondo dopo ricomincia tutto da zero.

Le deviazioni che nel nostro passato sportivo abbiamo vissuto in diversi settori sono state fattori importanti del nostro abbandono. Riteniamo molto intelligente aggiungere, come è stato fatto, una proposta che nulla toglie e nulla impone alla pratica. Riteniamo contemporaneamente fondamentale per ciascun istruttore sorvegliare e agire perché la parte di gara sia di fatto un’espressione libera del praticante, non a discapito del proprio e dell’altrui percorso.

In altre parole: nessuno di noi aveva provato niente prima dell’evento.

E’ stato liberatorio perché il momento di competizione permette di inquadrare meglio e senza troppi giri di parole dove stiamo andando. Se per i fatti nostri o insieme agli altri e dove. Se a zonzo, se intorno a noi stessi o verso la crescita personale di ciascuno.

Com-petere, andare insieme verso un unico traguardo. Ed è il bello della pratica dell’Aikido.

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